Fuori orario
Dal 23 al 29 aprile 2017
In onda dal 23 al 29 aprile 2017
Domenica 23 aprile 2017 RAI3 dalle 00.50 alle 6.00 (310’)
Fuori Orario cose (mai) viste
di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto
presenta
SOTTILI MANOVRE EVASIVE
ovvero
L’ASSEDIO
(2)
a cura di
Lorenzo Esposito
MANOEUVRE
(Manoeuvre, USA 1979, b/n, versione originale sott.ita., 115’)
Regia, produzione, presa del suono e montaggio: Frederick Wiseman
Manoeuvre segue un reggimento di carri armati da Fort Polk, Louisiana, attraverso i vari luoghi di addestramento nella Repubblica Federale Tedesca – dall’uscita dei carri armati e dei mezzi che trasportano gli uomini armati ai movimenti difensivi, e il ripiegamento quando il nemico sta attaccando, alle posizioni d’attacco. Uno degli obiettivi di questa simulazione di guerra è testare in quanto tempo possano arrivare i rinforzi dagli USA in aiuto delle forze NATO già stanziate in Europa occidentale. Le tattiche di attacco e difesa sono osservate dal punto di vista di una compagnia che sta simulando un attacco di tipo convenzionale, senza l’uso di armi nucleari né di terra né di aria.
ZONA PROIBITA
(Urss, 1975, b/n, 62’, v. o. con sott. italiani) Regia: Herz Frank
La “zona proibita” è una colonia penale per bambini e giovani- Il film mostra la contraddizioni della nozione di educazione correttiva.
EROI IN VENDITA 69’
(Heroes for Sale, Usa, 1933, b/n, v.o. sott. it.)
Regia: William A. Wellman
Con: Richard Barthelmess, Aline MacMahon, Loretta Young, Gordon Westcott, Robert Barratt, Berton Churchill, Grant Mitchell, Charley Grapewin, Robert McWade, G. Pat Collins, James Murray, Edwin Maxwell
La saga di Tom Holmes, dalla Grande Guerra alla Grande Depressione. Riuscirà un giorno a riposarsi? Decorato in guerra, respinto dalla società, non smetterà mai di lottare e di reagire. Un uomo di principi in tipico stile Wellman.
Venerdì 28 aprile 2017 RAI3 dalle 01.50 alle 6.00 (250’)
Fuori Orario cose (mai) viste
di Ghezzi Baglivi Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto
presenta
COLONIE PENALI
(1)
a cura di
Lorenzo Esposito
con i film
ANTOLOGIA DEI FILMATI NEUROPATOLOGICI DI CAMILLO NEGRO E ROBERTO OMEGNA - (I parte) Prima visione TV
(Italia, 1906-1918 ca., b/n, dur. 7’ circa, muto)
Regia: Camillo Negro, Roberto Omegna
Fotografia: Roberto Omegna
Camillo Negro, professore di neurologia all'Università di Torino, fu un pioniere della “cinematografia scientifica”. Tra il 1906 e il 1918, con l'aiuto del suo assistente Giuseppe Roasenda, fece riprendere a scopi didattici alcuni dei suoi pazienti da Roberto Omegna, uno tra i maggiori operatori italiani. Negli anni della guerra proseguì nel suo progetto di cinematografia scientifica all'Ospedale Militare di Torino, documentando sindromi di guerra nei soldati.
Alberto Farassino, nel 1983, fu il primo a riscoprire questa straordinaria produzione, in particolare il film di 4 minuti del 1908 La neuropatologia, dedicandogli un famoso e illuminante saggio, Il gabinetto del dottor Negro (analisi di un film psichiatrico del 1908). Restaurato già negli anni Novanta, il film è stato successivamente integrato col ritrovamento di ulteriori materiali di diversa provenienza e datazione, in un progetto di restauro complessivo a cura del Museo Nazionale del Cinema di Torino su tutti i filmati neuropatologici ritrovati di Camillo Negro, conclusosi nel 2011.
La neuropatologia è realizzato nello stesso anno in cui Freud pubblica le sue Osservazioni generali sull’attacco isterico, dove definisce l’accesso isterico come “fantasie tradotte nella dimensione motoria, figurate in forma pantomimica” Come vide Alberto Farassino, La neuropatologia nella sua brevità (un’unica inquadratura fissa di 4 minuti con soli tre personaggi: il medico-stregone che più volte guarda fuori campo verso lo spettatore, il suo assistente, la paziente isterica mascherata in una camera da letto chiaramente ricostruita in studio, dove viene più che esibito agli spettatori il trattamento di un attacco isterico in forma del tutto pantomimica) è un film di sorprendente complessità e ambiguità in cui più storie vengono raccontate e in cui è il cinema stesso (nella sua ambiguità di verità e di messa in scena, di documentazione “oggettiva” e di voyeurismo quasi pornografico) a diventare lo strumento stesso dell’ipnosi, macchina “scientifica” ben presto convertita in ipnosi di massa. Se il cinema e la psicanalisi erano nati negli stessi anni, nel gabinetto del dottor Negro il cinema sperimentava la sua via verso Caligari e Mabuse.
FOLLIA E AMORE
(Feng Ai, Cina-Francia 2013, col., 228', v.o. sott. it.)
Regia: Wang Bing
La quotidianità fatta di miseria e abbruttimento di un gruppo di pazienti reclusi in un manicomio dello Yunnan, nella Cina meridionale: c'è chi soffre di gravi disturbi mentali, ma qualcuno vi è confinato per le proprie convinzioni politiche o per essersi opposto alla legge. Il titolo italiano (quello originale suona piuttosto come “Amore folle”) rispecchia la divisione in due parti del film: la prima è dominata dalla descrizione del degrado in cui vivono gli internati, che brancolano nudi lungo i corridoi e fanno i bisogni all'aperto; nella seconda, emerge l'umanità di persone che si aggrappano alle altre per riuscire a sopravvivere nelle condizioni più disperate e offrono una nuova lettura del “bisogno di famiglia”. La struttura a quadrilatero del reparto, che affaccia su un cortile interno, sembra rappresentare un vero e proprio girone infernale, nel quale i pazienti compiono sempre gli stessi gesti e mimano fughe impossibili (straordinaria la sequenza in cui uno di loro corre instancabilmente lungo il perimetro, seguito dal regista). Ma la fuoriuscita di uno di essi offre a Wang l'occasione per mostrare che povertà e abbruttimento regnano sovrani anche all'esterno, tra catapecchie fatiscenti e immensi campi desolati. Il film potrebbe concludersi così, ma il regista sceglie di tornare tra le mura dell'istituto e restare con chi è prigioniero: l'immagine finale dei due uomini abbracciati è la degna chiusa di un capolavoro che conferma la statura del documentarista cinese. Realizzato in autonomia e sfidando le autorità di un regime che fa di tutto per celare l'esistenza di luoghi come quello mostrato, non è tanto un film sulla follia quanto la denuncia della maniera in cui persone scomode vengono esiliate e trasformate in rifiuti della società.
Sabato 29 aprile 2017 RAI3 dalle 02.00 alle 6.00 (240’)
Fuori Orario cose (mai) viste
di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto
presenta
COLONIE PENALI
(2)
a cura di
Lorenzo Esposito
con i film
ANTOLOGIA DEI FILMATI NEUROPATOLOGICI DI CAMILLO NEGRO E ROBERTO OMEGNA - (II parte) Prima visione TV
(Italia, 1906-1918 ca., b/n, dur. 40’ circa, muto)
Regia: Camillo Negro, Roberto Omegna
Fotografia: Roberto Omegna
Camillo Negro, professore di neurologia all'Università di Torino, fu un pioniere della “cinematografia scientifica”. Tra il 1906 e il 1918, con l'aiuto del suo assistente Giuseppe Roasenda, fece riprendere a scopi didattici alcuni dei suoi pazienti da Roberto Omegna, uno tra i maggiori operatori italiani. Negli anni della guerra proseguì nel suo progetto di cinematografia scientifica all'Ospedale Militare di Torino, documentando sindromi di guerra nei soldati.
Alberto Farassino, nel 1983, fu il primo a riscoprire questa straordinaria produzione, in particolare il film di 4 minuti del 1908 La neuropatologia, dedicandogli un famoso e illuminante saggio, Il gabinetto del dottor Negro (analisi di un film psichiatrico del 1908). Restaurato già negli anni Novanta, il film è stato successivamente integrato col ritrovamento di ulteriori materiali di diversa provenienza e datazione, in un progetto di restauro complessivo a cura del Museo Nazionale del Cinema di Torino su tutti i filmati neuropatologici ritrovati di Camillo Negro, conclusosi nel 2011.
La neuropatologia è realizzato nello stesso anno in cui Freud pubblica le sue Osservazioni generali sull’attacco isterico, dove definisce l’accesso isterico come “fantasie tradotte nella dimensione motoria, figurate in forma pantomimica” Come vide Alberto Farassino, La neuropatologia nella sua brevità (un’unica inquadratura fissa di 4 minuti con soli tre personaggi: il medico-stregone che più volte guarda fuori campo verso lo spettatore, il suo assistente, la paziente isterica mascherata in una camera da letto chiaramente ricostruita in studio, dove viene più che esibito agli spettatori il trattamento di un attacco isterico in forma del tutto pantomimica) è un film di sorprendente complessità e ambiguità in cui più storie vengono raccontate e in cui è il cinema stesso (nella sua ambiguità di verità e di messa in scena, di documentazione “oggettiva” e di voyeurismo quasi pornografico) a diventare lo strumento stesso dell’ipnosi, macchina “scientifica” ben presto convertita in ipnosi di massa. Se il cinema e la psicanalisi erano nati negli stessi anni, nel gabinetto del dottor Negro il cinema sperimentava la sua via verso Caligari e Mabuse.
CONTACTOS (CONTATTI)
(Spagna, 1970, b/n, 62’, v.o. sottotitoli spagnoli)
Regia, montaggio, produzione : Paulino Viota
Sceneggiatura: Javier Vega, Santos Zunzunegui
Con: Guadalupe G. Guemes, Eka Garcia, José Miguel Gándara, Camino Gárriz, José Angel Rebolledo
Riscoperto da poco tempo come uno dei film maggiori della storia del cinema spagnolo, Contactos fu realizzato in piena dittatura con mezzi ridotti all’essenziale (macchina 16 mm., suono post-sincronizzato, riprese in pochissimi décor naturali – tre interni e un esterno - con sole cinque posizioni fisse della cinepresa in inquadrature frontali), senza autorizzazione ufficiale, in segreto e in fretta, di fatto quasi clandestinamente. Proibito dalla censura in Spagna, fu mostrato all’estero due volte: da Langlois a Parigi nel 1971 alla Cinémathèque Française e lo stesso anno al Festival di Hyères, dove fu amato dal giurato Noel Burch, che ne scrisse diverse volte nei suoi libri. Pur avendo come trama quotidiana la vita sotto minaccia di probabili militanti politici clandestini antifranchisti (una donna e due uomini provvisoriamente installati nelle camere d’affitto di uno stesso appartamento), Contactos si distacca completamente dal cinema politico indipendente di quegli anni: “Invece di riferirsi ai codici narrativi convenzionali per descrivere il clima di oppressione imposto dalla dittatura, il film fa ricorso alle proposte estetiche più radicali del momento. Il titolo è ripreso da un brano di musica elettronica di Karlheinz Stockhausen e in effetti il film si svolge secondo una logica quasi matematica di simmetrie e di ritmi” (Javier Moral), con una sobrietà formale vicina ai concetti della serializzazione (ma anche dell’apparente aleatorietà) propri della musica d’avanguardia. Altri riferimenti decisivi sono l’artista basco Jorge Oteiza (con le sue famose scatole vuote), il cinema di Straub e Huillet (soprattutto Cronaca di Anna Magdalena Bach), quello di Yasujiro Ozu (soprattutto per la luce, da poco scoperta da Viota in visioni televisive). Ma dove il film diventa ancor più sorprendente e quasi imponderabile è nell’architettura temporale: “la distruzione sistematica della struttura cronologica contrasta col rispetto scrupoloso del tempo all’interno delle singole scene, dando luogo a una decentralizzazione radicale dello spazio e del tempo, un’esperienza di frammentazione che evoca l’evoluzione quotidiana di un soggetto clandestino, sempre minacciato” (Javier Moral). Il tempo del film è – nelle parole dello sceneggiatore Santos Zunzunegui – “quello che ci era stato rubato durante (e dalla) dittatura”. E Viota aggiunge: “Contactos è la cronaca di Anna Magdalena Bach senza la musica di Bach, dove il genio musicale è sostituito dall’atmosfera oppressiva del regime franchista”. In un’intervista a Manuel Asin, Viota ha così descritto il finale del film, apparentemente interrotto: “ La fine del film è uno sguardo verso la macchina da presa, un motivo classico del cinema moderno...Inoltre è un finale tradizionale, perché in fondo la storia è una storia tradizionale. Il film comincia e finisce come un film di John Ford: con un personaggio che arriva e un altro che dice che non continuerà, che è stanco di tutto. E il film finisce anche come un film nouvelle vague, con quello sguardo”.
APPUNTI PER UN FILM SU KAFKA (Nella colonia penale) 83'14"
Regia Luigi Di Gianni
con Renato Scarpa Pietro Faiella Raffaele Braia Antonio Scalici Piergiuseppe Francione
Elvezia Balducelli Gaetano Gesmundo
Nella colonia penale è un racconto di Franz Kafka scritto nel 1914, in cui si narra il preludio di una condanna a morte. È la fredda descrizione dell’imminente esecuzione capitale di un soldato, reo di insubordinazione e oltraggio a un superiore.
La sua colpa è di essersi addormentato durante il turno di guardia dinanzi alla porta del capitano e di non aver quindi eseguito l’ordine del saluto militare allo scoccare delle ore. All’esecuzione sono presenti un soldato, il quale controlla il condannato con una pesante catena, l’ufficiale che dovrà eseguire la condanna e un esploratore straniero. L’esecuzione vera e propria sarà condotta con uno strano macchinario, “un apparecchio singolare”, come lo chiama lo stesso ufficiale all’inizio del racconto. Questa macchina, infatti, è programmata per uccidere lentamente incidendo più e più volte, con tanti aghi di vetro, sulla pelle del condannato l’ordine non rispettato (in questo caso “ONORA IL TUO SUPERIORE”!), passando e ripassando sulle ferite con una sempre maggiore profondità…
Dalla visionaria opera di Kafka prende spunto la riflessione di Luigi Di Gianni, in un viaggio onirico e letterario a cavallo tra fiction e docufiction, tra le nebbie e gli inquietanti scenari del Delta del Po.